Dove è finita la retorica pacifista di Trump?
L’opinione pubblica occidentale ha conosciuto un sentimento dirompente, che ha occupato anime e corpi di tutti: la paura concreta della fine del mondo. E se invece fossimo ad un passo dalla pace?
L’attacco all’Iran, improvviso ma non inaspettato, cancella un po’ la narrazione che Trump, e il suo movimento MAGA, aveva fatto di sé, e cioè di colui che non avrebbe scatenato nuove guerre, ma avrebbe risolto i conflitti in corso. Nella visione di Trump il suo attacco non è altro che ordinaria amministrazione, come lo era stata l’uccisione di Qassem Soleimani nel 2020: un’azione mirata, chirurgica, giustificata dal bisogno di ristabilire la deterrenza americana e depotenziare l’Iran. Per Trump le guerre sono quelle in cui devi muovere le truppe, non quelle fatte dall’alto, perché i bombardamenti dall’alto gli Stati Uniti li hanno sempre fatti: Siria, Yemen, Somalia. Lo stesso Trump il 7 aprile 2017 aveva attaccato la base aerea di Shayrat in Siria, con decine di missili da crociera Tomahawk lanciati da due cacciatorpedinieri statunitensi, e facendo 16 vittime di cui un bambino. Eppure- allora- non ci fu la reazione di adesso. Cosa è cambiato? Perché fino a qualche anno fa queste azioni erano ordinaria amministrazione, e ora si teme la terza guerra mondiale? In effetti c’è a sensazione che l’opinione pubblica occidentale sia in un momento di fragilità, e questo accade perché oramai da tre anni, dall’attacco all’Ucraina, tutti i grandi player internazionali sono passati da uno stato di diritto, l’idea che i negoziati internazionali potessero esaurire ogni controversia, ad uno stato di eccezione, cioè di sfiducia verso il diritto internazionale, e il ritorno concreto della forza come strumento risolutivo. Con l’attacco di Putin si è parlato apertamente di guerra nucleare, di rischio nucleare, e di effetto domino che avrebbe potuto scatenare una guerra mondiale.
L’opinione pubblica occidentale ha conosciuto un sentimento dirompente, che ha occupato anime e corpi di tutti: la paura concreta della fine del mondo.
Poi è arrivato Bibi, e cioè Netanyahu, con la reazione durissima all’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas. Da lì è emersa una nuova normalità bellica, in cui le regole umanitarie vengono considerate “opzionali” se c’è una giustificazione strategica sufficiente. Nel frattempo l’Iran, storico alleato di Hamas e Hezbollah, ha alzato il livello dello scontro, moltiplicando i suoi tentacoli in Iraq, Siria, Libano, Yemen, e mettendo pressione diretta su Israele. Con l’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco, e poi la risposta iraniana con un attacco diretto a Israele nell’aprile 2024, il tabù dell’aggressione diretta tra Stati è stato definitivamente infranto.
Così, nell’arco di tre anni, siamo passati da un ordine basato sul diritto a una realtà dominata dalla logica dell’eccezione permanente, dove tutto può essere giustificato: una rappresaglia, una "operazione chirurgica", un attacco preventivo. La guerra non è più l’ultima ratio, ma una forma di gestione politica “ordinaria” delle crisi. Non deve meravigliare che Trump non abbia chiesto il permesso al Congresso: non la considera una guerra, ma un’operazione normale. Da qui l’articolo è per i miei abbonati.