La cucina italiana può anche non piacere. Boom.
Ha suscitato scalpore l’opinione dei giocatori della Juventus McKennie e Weah che hanno definito la cucina italiana poco variegata, durante un podcast.
Ha suscitato scalpore l’opinione dei giocatori della Juventus McKennie e Weah che hanno definito la cucina italiana poco variegata, durante un podcast. Per McKennie è una cucina molto limitata in cui tutto è “pasta, pizza, pesce, bistecca”. Mentre Weah ha dichiarato di preferire la cucina italoamericana. Ovviamente lo hanno detto anche un po’ per gioco, ma svelando una verità con cui dobbiamo fare i conti. E la verità è la seguente: la cucina italiana può anche non piacere. Boom. Esplosione termonucleare.
So che per un istinto di protezione, tendiamo noi italiani (come tanti popoli) a pensare di avere la cucina migliore del mondo, e per me che sono italiano lo è sicuramente. Eppure capisco McKennie e capisco il punto di vista di un americano, che forse va spiegato un po’ meglio.
Gli Stati Uniti hanno una cucina molto più variegata dell’Italia, perché hanno fatto loro tutte le cucine del mondo. Hanno preso la cucina messicana, quella cinese, giapponese, thai, indiana, italiana, francese, coreana, e le hanno integrate nel proprio tessuto quotidiano, rivisitandole a modo loro come gli spaghetti con le polpette, o la cucina tex-mex, cioè quella messicana ripensata in America, dove abbonda il formaggio fuso che in Messico quasi non si usa.
A New York, Los Angeles o Miami puoi trovare piatti di ogni angolo del pianeta a qualsiasi ora del giorno, senza dover viaggiare più di qualche isolato. Ma anche nei villaggetti piccolissimi e sperduti, troverai questa varietà, che viene poi inserita nei menu chilometrici dei diner americani.
È una cucina che non ha confini, e questo agli americani piace: la possibilità di scelta, l’ibridazione, la creatività estrema, anche a costo di snaturare le ricette originali.
Quando noi italiani facciamo i pazzi perché al posto del guanciale, mettiamo la pancetta, loro non ci capiscono. Si divertono ad osservarci con lo sguardo folkloristico di chi osserva una tribù primitiva. Per gli americani se nella carbonara ci vuoi le zucchine, ce le metti. Ci vuoi i gamberi, ce li metti.
Per questo, un ragazzo americano cresciuto in un ambiente dove ogni giorno può mangiare ramen, tacos, chicken tikka masala o sushi, può trovare “ripetitiva” la cucina italiana tradizionale, fatta di piatti codificati e di una forte difesa dell’ortodossia.
Per carità, la cucina italiana non è immobile, anzi è molto innovativa, ma sempre all’interno di quel nostro gusto italiano che non è necessariamente in linea con quello di uno straniero, che può amare la pasta una o due volte, ma non tre o quattro.
Da noi c’è l’ossessione per il modo giusto di fare le cose: la carbonara senza panna, la pizza col cornicione, il caffè ristretto. In America c’è invece l’ossessione per la libertà di fare tutto come ti pare. Pensate voi a spiegare come ci prendiamo le questioni, in Italia, sulla pizza romana e quella napoletana, quando per gli americani sarebbe normale avere entrambi i tipi nel menu.
Non si tratta di decidere chi ha ragione. McKennie e Weah, in fondo, ci hanno semplicemente ricordato che il mondo non gira tutto intorno a noi — e che anche la nostra adorata cucina, fuori dal contesto emotivo e culturale in cui è nata, può apparire meno entusiasmante di quanto crediamo.
Io per esempio, ogni volta che viaggio, rimango davvero incantato dalla varietà di tutte le cucine del mondo, ma mi rendo conto che in effetti città come New York, dove ad ogni angolo trovi il messicano, il thai, il libanese, il vietnamita, hanno una marcia in piu’.
Ieri io e Martina ci siamo chiesti: “Cosa mangiamo?”
Abbiamo scelto i tacos, ci sono arrivati a casa degli ottimi tacos di Tacombi, il giorno prima dei souvlaki greci, il giorno ancora prima avevamo optato per uno smashburger.
Questo tipo di libertà puoi trovarlo, forse, a Milano, ma in genere nel resto d’Italia la cucina è ridotta e limitata alla pasta e alla pizza.